lunedì 11 febbraio 2013

"In quieta ricerca" XVIII

«Fare il possibile e desiderare l’impossibile». Ecco un verso con cui Nicola Sguera apre un libro in cui raccoglie scritti e pensieri elaborati nel corso di decenni di letture, riflessioni, iniziative culturali. Molti anni fa fui relatrice di una appassionata tesi di laurea da lui dedicata a Franco Fortini, ma ancora prima lo ricordo studente di uno dei miei primi corsi sulla poesia di Giorgio Caproni. E come dimenticarlo? Registrò le mie lezioni, insieme a un piccolo manipolo di volontari, le trascrisse e me le donò. Dalla sua generosità, ovviamente del tutto spontanea, nacque Il poeta del disincanto, una monografia per colui che potrei definire il poeta della mia vita e tra i miei libri uno dei pochi di cui non vorrei spostare neppure una virgola. Insomma mi va bene così. E questo anche grazie alla scelta di un allievo libero di considerarsi tale, di assentire, di disobbedire nel momento di assumersi le proprie responsabilità. Parola assai cara a Sguera, oggi professore di filosofia a Benevento, la sua città natale alla quale incessantemente e ostinatamente si è rivolto ideando riviste, gruppi di letture, idee, e non certo per trarne una piccola gloria locale, o qualche incarico di prestigio o politico, o tanto meno economico. Eppure fede politica e religiosa furono e forse sono ancora le certezze che lo avviarono alla ricerca di un fondamento, nella scrittura, nel mestiere, nella vita. Certezze però non “granitiche”, inamovibili, in una parola non fondamentaliste. Alla base di questo libro c’è però altro, anzi altri, soprattutto i “maestri eretici”, quelli che in piena tempesta novecentesca hanno pensato e vissuto in modo estremo (non estremista si badi). Estremo ma radicato, nel senso dell’enracinement di Simone Weil che Fortini rivoltò come un guanto traducendolo con il lemma dantesco, La prima radice e sottolineando così la linfa vitale che scorre dentro le lucidissime visioni di quell’esile ragazza che bucò il nostro mondo fissandolo da dietro i suoi spessi occhiali di miope. Sono tanti e non li cito gli eroi di Sguera, i protagonisti delle sue note di lettura rapide ma profonde, non specialistiche ma provocanti. E lui stesso, inviandomi il suo libro, voleva certo provocarmi almeno su un punto, dicendosi sicuro del mio dissenso: la poesia, oggi, nella scuola. Estrapolo da un brano del suo libro, fedele alla sostanza del pensiero, anche se non alla sua complessa argomentazione. “La scuola - scrive Sguera rispondendo a un libro di Franco Brevini sulla barbarie incombente – non ha nulla da dire, dal punto di vista emozionale ai giovani, perché... la Bildung non avviene più essenzialmente attraverso i libri. Ma una scuola che ripropone, senza capacità di vedersi, questo modello alto, non si rassegna sempre di più all’afasia? Se dobbiamo insegnare l’emotività, se dobbiamo parlare dell’amore, ha senso far leggere Petrarca? E en passant: ha senso far leggere a scuola tanta poesia, quando i nostri ragazzi non leggeranno più poesia nella loro vita, se non qualcosa raccattato in rete e non compreranno mai un libro di versi?”. Giro a chi legge la domanda di Nicola, cui, se si vuole si può scrivere a: nicola.sguera@fastwebnet.it. Oppure cliccando su http://nicolasguera.blogspot.it/ . Ma a Nicola che nella nota dei ringraziamenti mi cita come colei che gli «fornì gli strumenti per avvicinare la poesia» e gli «schiuse mondi meravigliosi» sommessamente ricordo che nessuno di noi si augurava che quelle meraviglie non varcassero mai più la soglia di quelle aule. E con te le ha varcate infatti. Un fantasma non ha mai l’energia necessaria per trattenersi tra i vivi.

Biancamaria Frabotta

La nota è apparsa sul profilo Facebook di Biancamaria Frabotta, con la quale ebbi il privilegio di studiare a Roma, sostenendo con lei tre esami (in cui studiammo l'opera di Saba, Caproni, la Morante, Tozzi, fra gli altri) e la tesi di laurea dedicata all'opera poetica di Franco Fortini