sabato 31 dicembre 2016

La rivoluzione gentile 7 (Primo semestre)


 Il ritorno alla politica attiva

Quando ho deciso di tornare alla politica attiva (dopo il “laboratorio” costituito da ALBA) l’ho fatto spinto dall’urgenza di un tempo che vedevo di crisi strutturale (della politica stessa, dell’economia, della società).
Gettatomi a capofitto nella nuova e per me inedita esperienza del Movimento 5 Stelle ho dovuto imparare un linguaggio completamente nuovo e rivedere molte delle categorie elaborate nel corso degli anni per decifrare il mondo.
Calatomi, malgrado la mia vocazione “teorica”, nel concreto della vita cittadina, anch’essa caratterizzata dalla triplice crisi (politica, economica e sociale), ho accettato il cimento delle elezioni locali, ritrovandomi nella sala consiliare di Palazzo Mosti, insieme a Marianna Farese.
  

 Cosa ho scoperto in questi mesi

Il bilancio di questi sei mesi l’abbiamo redatto insieme nei giorni scorsi. Mi pare positivo, ma sta ai nostri esigenti elettori (che vorrei più “attivi” secondo lo spirito del Movimento) stabilirlo.
Quale l’impressione complessiva di questo mondo che conoscevo solo dalle cronache giornalistiche?
Provo a schematizzarle dando a ciascuna un titolo.

1.     Paradosso

Il consigliere più preparato è Fausto Pepe. Tra lui e tutti gli altri c’è un distanza difficilmente colmabile sia rispetto alla conoscenza della vita amministrativa e delle norme sia rispetto al linguaggio. Il paradosso è che, da Sindaco, ha fatto scelte (o non scelte) che hanno gravemente danneggiato la città. Il dissesto non è imputabile interamente alla sua gestione, ma sicuramente le criticità che hanno portato a questa scelta obbligata potevano e dovevano essere affrontate prima con strumenti più rigorosi da quelli utilizzati e portati avanti.

2.     Soprese

Ci sono consiglieri con storie politiche e degli schieramenti più vari con i quali è naturale trovare convergenze sia di metodo che di merito su svariate questioni. Dal di fuori ero portato a vedere (e lo faccio ancora rispetto alla politica nazionale) il quadro in maniera manichea, in bianco e nero. Mi auguro che questo possa davvero giovare alla città. Se si riesce, nell’amministrazione di una città in crisi, a mettere insieme, senza trasformismi e accordi sottobanco ma in nome del bene comune, le energie migliori, si fa opera meritoria.

3.     Nihil novi sub sole

Il trasformismo, il politicismo, lo scambio, le ambizioni personali, gli interessi piccoli e grandi da tutelare... Insomma, tutto l’armamentario associato nell’immaginario popolare alla politica sono una realtà apparentemente immodificabile. È che in me la passione politica ha una scaturigine morale. Non solo non riesco ad immaginare che si possa lucrare sulla cosa pubblica, ma mi è difficile anche semplicemente credere che ci si possa impegnare nell’agone politico per motivi diversi da quelli ideali, per un’idea di città o di Stato o per la giustizia sociale. Non so se a quasi cinquant’anni questo sia ancora tollerabile in una persona o sia il retaggio dei miei ardori giovanili. In ogni caso, se dovesse venir meno questa componente perderei ogni stimolo all’azione e mi ritirerei a vita privata.
Non mi pare casuale che il momento più entusiasmante di questi mesi sia stato l'impegno contro la riforma Boschi-Renzi, in cui agivo con la percezione (talvolta ossessiva) di difendere un patrimonio di civiltà inestimabile in un momento decisivo per la storia del Paese.

Un bilancio personale

È difficile capire cosa spinga una persona alla politica. Hans Jonas vede il politico come incarnazione della “responsabilità”, una sorta di padre che sceglie di prendersi cura di qualcuno. Un’immagine bellissima e molto idealizzata.
Mia moglie sostiene che è la nuova incarnazione del mio bisogno di spendermi tutto in qualcosa, come in passato l’impegno letterario o filosofico. Amo ripetere che lei sarà il Pubblico Ministero nel giorno del mio giudizio... Ma devo fare i conti con il parere della persona con cui divido la vita dal 1984. Ci sarà probabilmente un fondo di verità in questa analisi.
Io spesso ho ripetuto a mia figlia che ho scelto di rimettermi in gioco per lei, perché mi vergognavo di consegnarle una città così degradata.
Qualche giorno fa ho rivisto La vita è meravigliosa, il film cardine della mia Bildung. Mi ha insegnato il valore di un altruismo (riluttante!). Soprattutto mi ha fatto capire sin dall’adolescenza che noi siamo da sempre in una rete di relazioni invisibili e che ogni nostro gesto ha immediata efficacia su questa rete, anche se noi non lo sapremo mai. Questa esperienza la faccio anche come educatore, talvolta avendo la fortuna di veder fiorire qualche seme lanciato in terreni fertili.

Non so, a pochi mesi dall’avvio di questa esperienza, come inciderà sulla mia vita. Una cara amica nel 2001, quando fui candidato Sindaco in una piccola lista, mi disse di lasciar perdere perché ne sarei uscito incattivito. L’augurio che faccio a me stesso nell’imminenza del nuovo anno è di riuscire a tenere in equilibrio le componenti della mia vita, quella familiare, quella lavorativa e quella politica, facendo in modo che l’una illumini e corregga l’altra. Nello stesso tempo vorrei che il linguaggio stesso della politica, oltre che la sua pratica quotidiana, venisse nutrito da altri linguaggi (quello della poesia, quello del pensiero) affinché non si insterilisca diventando parola vuota. L’ultimo augurio è che il mio agire sia efficace. Cambiare anche solo un poco un piccolo pezzo di mondo in meglio è cosa buona e giusta. 
Perché? «Servi inutiles sumus; quod debuimus facere, fecimus» 

lunedì 5 dicembre 2016

Noi, il popolo


A giugno - con il primo turno delle Amministrative - pensavo che fosse finito il giro sulle montagne russe iniziato a settembre dello scorso anno. Non sapevo che, dopo una brevissima pausa, ne sarebbe cominciato un altro, altrettanto entusiasmante ed estenuante. Nel primo caso si trattava di immaginare un futuro diverso per la città, nel secondo di difendere un “bene comune”, anzi: il “bene comune” per eccellenza, la Costituzione del 1948.
Per carità, nessuna visione sacrale, ma il rispetto per una sintesi mirabile di linfe politiche diverse, uscita dal fuoco e dal sangue della Resistenza. Rispetto. Quello che è mancato agli improvvisati riformatori strettisi intorno a Giorgio Napolitano e Matteo Renzi.
Negli incontri pubblici, nei post di questo blog e nel quotidiano confronto/scontro sulla piazza virtuale di Facebook ho cercato di argomentare le ragioni decise del mio no, confortate da grandi studiosi del Diritto Costituzionale come Zagrebelsky o il nostro Vincenzo Baldini (preziosissimo!).
Confesso di essere fisicamente e psicologicamente estenuato. Lo scontro è stato durissimo. In certi momenti mi sono chiesto se ne valesse la pena...


La notte tra il 4 e il 5 dicembre resterà scolpita nella mia memoria. Una festa della democrazia, l’emergere inatteso (lo confesso) di potenti anticorpi contro la post-democrazia che si voleva instaurare attraverso la Boschi-Renzi, l’affermazione di un principio di partecipazione attiva delle comunità locali contro il neo-centralismo.
Quanti giorni avremo per riposare, ristorare le forze? O, meglio, quante ore? Altra corsa, altro giro...  
Si apre una pagina nuova della storia italiana. Io sono orgoglioso di esserne un piccolo pezzo, in una piccola città del Sud. Sono orgoglioso di rappresentare il Movimento 5 Stelle, che ha difeso la Costituzione repubblicana, democratica e antifascista. Lo sono fino alle lacrime, che pure non si addicono ad un cinquantenne scafato.
Inutile fare previsioni: il «movimento reale» è troppo complesso. L’importante è aver rimesso in moto un processo di partecipazione. Il popolo dovrà essere sovrano nei prossimi mesi.
E dunque? Viva l’Italia, l’Italia del 4 dicembre, «l’Italia che resiste nella notte triste» (la lunga notte della politica sottomessa ai mercati), e, lucidamente, progetta un futuro diverso per i suoi giovani privi di speranza, i suoi disoccupati disperati e il suo territorio devastato.

P.S.


Consapevolmente politically incorrect dedico l’ombrello a quei tre o quattro fessacchiotti, pasdaran locali del Sì,  cani da guardia della controrivoluzione inutile, miracolati della politica, eterni lacchè proni ai poteri del momento: sono andati a sbattere rompendosi la testa (e non me ne duole affatto). Si erano illusi che infangare le persone, minacciare querele, irridere fosse fruttuoso. A loro il mio disprezzo. Massima stima per chi, nel campo avverso, invece, si è speso con argomenti e passione civile. La politica è scontro, ma si può riconoscere all'avversario leale l'onore delle armi. E io lo farò sempre. 

martedì 29 novembre 2016

Verso il referendum costituzionale VIII [Un tentativo di sintesi]


Voterò NO per tantissimi motivi. Provo ad elencarne alcuni.

A)    Questioni di METODO

1.       «La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri» (Manifesto dei valori del PD, 16 febbraio 2008).

2.       «La riforma è stata ideata e ostinatamente voluta dal Governo della Repubblica con la pressione e l’etero direzione dell'ex Presidente della Repubblica Napolitano» (Nino Di Matteo).

3.       La «contro-riforma costituzional-elettorale» (Flores d’Arcais) è stata elaborata e approvata da un Parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale: esso non è rappresentativo del paese reale. Tutta la “dottrina” giuridica, unanime, aveva chiesto che si tornasse al più presto alle urne. Si è invece niente poco di meno che riscritta la Costituzione!
4.       Si ricorre al referendum (oppositivo secondo alcuni, confermativo secondo altri) solo perché è mancato evidentemente quel consenso che l’art. 138 (che norma la “revisione” della Costituzione) considera condicio sine qua non: «Le costituzioni dei paesi democratici sono patti di convivenza, stabiliscono pre-condizioni che devono garantire tutti: qualunque costituzione degna di questo nome è tendenzialmente frutto di un consenso generale» (Luigi Ferrajoli).

5.       Modificare un terzo circa della Carta significa stravolgerla: «La riforma proposta non è una revisione della Costituzione, ma è un’altra costituzione: vengono cambiati 47 articoli su un totale di 139. E questo non è consentito: l’unico potere ammesso dall’articolo 138 della nostra Costituzione è un potere di revisione. Da questo discende il primo profilo di illegittimità» (Luigi Ferrajoli). Nulla importa che, come affermano i sedicenti riformatori, si tocchi solo la seconda parte: «la distinzione fra la prima e la seconda parte della Costituzione non è fondata su una netta cesura fra le due parti le quali invece sono intimamente connesse ed interdipendenti» (Fabrizio Politi).

B)    Questioni di MERITO

1.       «Si tratta di un cattivo riassetto organizzativo che, più che compiere un passo in avanti nella costruzione di un modello di “democrazia decidente” cerca di affermare in modo surrettizio le condizioni di una democrazia decisionista, infarcita di soluzioni procedurali atte ad affermare la supremazia di una maggioranza e a sgomberare, all’Esecutivo, ogni ostacolo sulla via della libera decisione» (Vincenzo Baldini). Siamo di fronte ad un implicito rafforzamento dell’esecutivo che, grazie al disposto combinato riforma costituzionale/riforma elettorale, può controllare, avendo bisogno della fiducia di una sola camera in cui siederanno il 70% di eletti scelti da partiti, il lavoro del legislativo, senza dover neanche più ricorrere al sistematico uso della fiducia.

2.       Questa democrazia “decisionista” è funzionale alle richieste di opache “agenzie” transnazionali (come la JP Morgan), che vogliono la cancellazione di elementi definiti “socialisti” delle Costituzioni nate nel secondo dopoguerra, che impediscono, tutelando la persona e il lavoro come fondante la sua dignità, la completa mercificazione dell’essere umano al servizio del capitale globale.

3.       Viene lesa la sovranità dei cittadini (art. 1 della Costituzione): «I cittadini alla fine sono rimasti senza voce: con un Senato non più eletto dal popolo ma da consiglieri regionali che si eleggono fra loro; con una Camera dove, alterata la rappresentanza, domina una maggioranza artificiale creata distorcendo l’esito del voto» (Lorenza Carlassare).

4.       La riforma Boschi-Renzi, con la modifica del Titolo V e la “clausola di supremazia”, andando contro lo spirito dell’art. 5 della Costituzione, apre la strada ad un neo-centralismo che coarta le autonomie locali e toglie potere decisionale ai territori su questioni nevralgiche: «La clausola di supremazia consente al legislatore statale di espropriare il potere in sé, togliendo in via definitiva voce alle istituzioni di autonomia. Su problemi come le trivelle, l’estrazione del petrolio, le discariche, gli inceneritori, l’alta velocità, il deposito di scorie nucleari o magari il ponte sullo stretto, la differenza è sostanziale. Con la nuova clausola si imbavagliano in via permanente e si normalizzano le comunità locali. Che il senato cosiddetto «dei territori» non sarebbe in grado di difendere, essendo il suo voto superato dal diverso voto della camera proprio per le leggi fondate sulla clausola di supremazia» (Massimo Villone).

CONCLUSIONE

La Costituzione non è un testo “sacro” e immodificabile. La sua revisione, però, dovrà essere il frutto di un Parlamento legittimo, realmente rappresentativo del paese reale, di un ampio accordo di forze politiche eterogenee. Dunque, lo scontro non è fra “chi vuole le riforme” e i conservatori, ma tra chi preferisce quella che rimane una delle migliori Costituzioni del mondo e chi ritiene il cambiamento in sé, anche pasticciato e pericoloso, un bene.


«Col No, il No che conta, vince invece la società civile di questo quarto di secolo di lotte. Che ha come programma l’unica grande riforma necessaria: realizzare la Costituzione» (Flores d’Arcais).

[Apparso su «Messaggio d'oggi», anno LVI, n. 37/38. Grazie a Danila De Lucia].

sabato 26 novembre 2016

Verso il referendum costituzionale VII [Risposta a Teresa Ferragamo]


«[...] Mi sento di scriverle in seguito all'"articolo", se così si può definire, che ho letto sul suo conto. Non ho commentato in pubblico, ma due parole mi sento di spenderle in privato con lei. 
So che non ha bisogno di difese, tutti la conoscono molto bene.
Sono io che mi innervosisco facilmente quando viene messo in discussione, parallelamente al suo ruolo politico, il suo ruolo di insegnante. 
Questo non lo permetto, tanto meno ad una "giornalaia" (come l'avrebbe definita la nostra cara prof.) con cui già ebbi una discussione ai tempi dell'alluvione. 
Volevo solo dirle grazie. Grazie perché mi ha insegnato il confronto pacifico, mi ha insegnato l'arte dell'informazione, mi ha insegnato l'arte del dialogo, mi ha insegnato che la cultura rende forti, mi ha insegnato che il passato va studiato per poter davvero apportare un cambiamento nel futuro. 
Da alunna ricordo come non sia mai stato un professore che ci abbia istigato ad un qualsiasi tipo di manifestazione. 
Sicuramente ci ha insegnato a difendere i nostri ideali, ma questo è un altro e ben più lungo discorso. 
Mi sentivo di scriverle anche perché, e di certo non è un mistero per nessuno, io e lei non abbiamo mai avuto grandi convergenze di idee, in fatto di politica. 
Ricordo comunque con un sorriso ogni piccola discussione avuta in classe, come tornavo a casa a vedere telegiornali e a leggere articoli per poter difendere in modo migliore le mie idee, proprio perché diverse dalle sue. 
Mi ha insegnato che la mia testa e la mia formazione sarebbero sempre state le mie uniche armi. 
Quindi la ringrazio, perché se oggi sono una cittadina consapevole, se ho letto tutta la riforma prima di potermi schierare (inutile dire se per il Sì o per il No), è anche merito suo. 
Un abbraccio affettuoso da un'alunna che la porta sempre nel cuore».

Mi permetto di pubblicare queste parole, con l’autorizzazione dell’autrice, in risposta al pesante articolo di Teresa Ferragamo perché le trovo la confutazione migliore, tra le tante pervenutami, e fededegna di un’accusa molto grave: quella di essere, in sostanza, un “cattivo maestro”. Espressione che riporta ai tempi bui del terrorismo.


Ho aspettato qualche giorno per rispondere anche perché ho sfidato l’autrice a portare prove (anche poche...) delle sue affermazioni: «I post parossistici, le provocazioni di Nicola Sguera non sono casuali,  non sono intemperanze individuali, ma sono parte di un disegno più grande di lui. Servono una causa, quella di Grillo: arare il terreno dell’odio per ribaltare il sistema e andare al potere».
Io, nella ricostruzione ancora da dimostrare, sono un professore (il titolo dell'articolo da questo punto di vista è significativo perché induce volutamente nella mente del lettore una confusione di piani, ribadita nei commenti dell’autrice dopo la pubblicazione sui social) che «ara il terreno dell’odio». 


Ho sempre avuto passione per la politica e idee “forti”. Ho sempre preferito essere trasparente con i miei alunni, e non fare, come certi personaggi (anche nostrani) che fingono terzietà e poi sono schierati da sempre. Non ho mai confuso, però, i piani della mia vita: l’aula è il luogo dell’esercizio del dialogo e del dubbio, come la mia carissima ex alunna ha scritto. Confondere i piani, come fa Teresa, rientra in quell’esercizio del discredito che, nei miei confronti hanno avviato improbabili figuri locali ancora in cerca d’autore e scodinzolanti ai piedi dei potenti di turno, e che hanno dovuto, con la coda fra le gambe, battere in ritirata. 
Teresa, che oltre a lasciare indimostrata ad ora la sua tesi, mostra di conoscermi poco o pochissimo, scrive che sono un «odiatore compulsivo» ed ha la pretesa di riportarmi nei giusti binari come insegnante e come politico... 
Non ho l’onere di dover rispondere: quanto hanno scritto amici e addirittura avversari politici confuta queste parole esse sì intrise di odio e risentimento. Scelgo due interventi di amici e amiche spesso lontani dal mio sentire in campo politico e per questo particolarmente emblematici.


P.S.
L’unica cosa che non condivido dello scritto della mia ex alunna è che Teresa Ferragamo sia una «giornalaia». È una giornalista da sempre schierata, che ha il coraggio delle sue idee (molto spesso sbagliate o indimostrate), che sta cercando di elaborare il “lutto” per la inattesa sconfitta politica alle recenti elezioni comunali, di cui continua, come altri (sbagliando) a ritenere responsabile il M5S. 

domenica 20 novembre 2016

Verso il referendum costituzionale VI [A un giovane amico]


Mi scrive un giovane amico (che preferisce rimanere anonimo)

Caro prof, spero lei abbia il tempo di leggere e rispondere ad alcune delle tantissime domande che negli ultimi giorni mi sorgono, a seguito delle informazioni che sto raccogliendo per il referendum e degli eventi odierni [19 novembre 2016: scontri a Benevento per la venuta di Renzi in città].
[...] Voglio solo chiarire le mie idee sulle prese di posizione assunte dal partito di cui lei resta (per me) l'unico esponente credibile, forse anche a livello nazionale, data la stima che nutro nella sua figura.
1. Innanzitutto, ma tutta questa condanna verso le mini-cariche della polizia, perché? In tutte le occasioni, si trattava di un cordone di sicurezza che fronteggiava un corteo NON autorizzato, che quindi non avrebbe mai dovuto avere luogo, che per legge DEVE essere sciolto, e che perseguendo i propri intenti nonostante le intimidazioni può e deve essere sciolto dalle autorità. In entrambi i casi tra l'altro, soprattutto a Santa Sofia, è stato abbastanza palese il lancio di fumogeni sulla polizia e l'avvicinarsi progressivo dei manifestanti. 
2. Perché la linea politica del movimento si è così tanto concentrata nello spostare l'attenzione da ciò che è il referendum, ossia una discussione referendaria sulla costituzione, a ciò che è ormai stato fatto diventare, ossia una sorta di guerra civile che spacca il paese il cui slogan è diventato «vota no se non vuoi Renzi al potere»?
3. Ma perché ogni volta (anzi in 2 casi su 3), che un manifestante/sostenitore/politico del movimento inizia a discutere dei motivi del NO, non riesce ad argomentare la sua posizione senza pronunciare i cinque concetti che le riporto molto brevemente ed assai parafrasati, e che più odio ormai:
- abbiamo la costituzione più bella del mondo;
- perché Renzi fa schifo;
- perché la Boschi fa schifo
- perché questo governo deve andare a casa 
- perché siamo meglio noi;
Ed infine, per chiudere il mio lunghissimo messaggio, le scrivo anche una mia personale considerazione ed una mia richiesta che viene dal cuore.
Prima la considerazione, ma se lei fosse il Presidente del consiglio al momento, andrebbe in giro per il paese senza scorta e senza blindare le città, sapendo che, oltre a tutti gli oppositori, attentatori o semplici teppisti già presenti sempre e da sempre nel mondo, la seconda forza politica del paese aizza le folle e le incita alla protesta (ormai per niente gentile)? Cioè bisogna rendersi conto che oggi se non ci fosse stata la "zona rossa" ci sarebbero stati uno o più cortei che avrebbero interrotto e disturbato ciò che magari possiamo definire un comizio volto a professare una determinata idea politica, tutto in nome della libertà di parola, di protesta, di espressione e di "dire no"! Praticamente il famoso «la mia libertà finisce dove inizia la tua» verrebbe buttato via. Ma poi che senso ha fare dei cortei di protesta per la libertà di dire no, quando nessuno impedisce di votare no il 4? 
Siamo giunti alla mia richiesta, che è il motivo fondamentale per cui le ho scritto questo messaggio. Me lo sa spiegare il motivo per cui io dovrei votare no, mentre votare sì sarebbe dannoso? Senza però cadere, la prego, in uno di quei cinque terribili concetti [...]. 

P.S. Piccolo siparietto comico/complottista: oggi ero davanti al Massimo sperando di poter ascoltare Renzi, e, parlando con un sostenitore del movimento e del No, mi dice: «ma poi lo sai un altro motivo? Tu sai cos'è il CNEL? Io no, ma secondo me c'è qualcosa, e quindi voto no».

Mio giovane amico, grazie prima di tutto per la stima e per le questioni che poni.
Cerco di seguire il tuo schema.
1. L’uso della forza è stato assolutamente sproporzionato. Ero presente, purtroppo, ad una delle cariche (e poi sono stato dieci minuti a riprendermi dall’effetto dei lacrimogeni). Ti assicuro che, al di là della composizione del corteo, dove predominavano giovanissimi, la “provocazione” è consistita in un fumogeno rosso e in rumoroso petardo (non una bomba carta) e che non c’è stato alcun tentativo di “sfondare” la zona rossa. Aggiungo che la città è stata, dalle 11 del mattino militarizzata con disagi per tutti i cittadini, neanche allertati con anticipo della cosa (sotto il “Giannone” hanno portato via almeno tre macchine con il carro attrezzi). Insomma una gestione pessima dell’evento, che però dovrebbe far interrogare il protagonista, l’uomo solo al comando che sta girando l’Italia intera per vincere la sua battaglia che sa “ultimativa” in un senso o nell’altro. Stiamo sollecitando i nostri parlamentari per un’interrogazione in tal senso. Vorrei farti ragionare, per altro, sull’assurdo di un Presidente del Consiglio che fa una spietata campagna su una riforma costituzionale... Ricorderai che Piero Calamandrei scrisse: «Nella preparazione della Costituzione, il governo non deve avere alcuna ingerenza…». Ho già così iniziato a rispondere alla domanda “vera”. Il metodo di questa “riforma” è irricevibile. Viola lo spirito della Costituzione, il suo cuore, la sua essenza, che fa del Parlamento il motore della democrazia. Neanche nel 2006 Berlusconi si spese così tanto per la sua riforma poi bocciata dal referendum.

2. Personalmente ho scritto moltissimo sulla Costituzione, pochissimo su Renzi. Purtroppo è stato l’ex Sindaco di Firenze a personalizzare lo scontro, riconoscendo (pungolato da Napolitano) tardivamente questa scelta, fatta quando aveva il vento in poppa. I governi passano, le Costituzioni restano. Ho atteso vent’anni per sbarazzarmi di Berlusconi, posso attendere ancora qualche anno perché un leader mediocre vada a casa. Non mi interessa. La mia non è una battaglia politica. Quello che contestavo ieri era un Premier che promuove una riforma costituzionale aberrante (che però si lega, in una tessitura visibile ad occhio attento al fiscal compact, al jobs act, alla buona scuola, alle leggi elettorali ultramaggioritarie). 

3. Credo di aver argomentato in altri post le ragioni del mio no. Le sintetizzo. Il metodo: la Costituzione va modificata con maggioranza molto ampie perché sono il quadro entro cui si svolge la dialettica politica. Il merito: la riforma Boschi-Renzi produrrebbe una “democrazia decisionista” (non decidente, la definizione è del prof. Baldini), funzionale a fare del governo e del parlamento italiano cinghia di trasmissione di decisioni prese altrove, in opache strutture post-democratiche che costituiscono la governance europea e globalizzata; la riforma Boschi-Renzi, con la modifica del Titolo V e la “clausola di supremazia”, andando contro lo spirito dell’art. 5 della Costituzione, apre la strada ad un neo-centralismo che coarta le autonomie locali e toglie potere decisionale ai territori su questioni nevralgiche. Basterebbero questo due argomenti: ce ne sono tanti altri (la sottrazione di sovranità al popolo con un Senato “scelto” dal ceto politico stesso, ad esempio, le incongruenze nella relazione fra le due Camere, l’irrazionalità di 5 senatori scelti dal Presidente che non si sa quali territori dovrebbero rappresentare, il paradosso di non sapere se dovesse esserci legge di pertinenza di entrambe le Camere e venisse chiesta fiducia cosa dovrebbe fare il Senato, che non ha più tale prerogativa). I due che ho rimarcato sono i motivi più importanti.
Spero di essere stato non dico convincente ma chiaro. Mi auguro che, leggendo gli scritti di grandi studiosi, possa renderti conto che questa è una riforma pensata male e portata avanti peggio.

Un caro saluto.

giovedì 17 novembre 2016

La rivoluzione gentile 6 (Indennità di presenza)


Il 4 novembre mi sono stati accreditati 890,74 euro per l’attività di consigliere comunale da luglio a ottobre.
In questi tre mesi ho partecipato a tutti i consigli comunali svoltisi e, parzialmente (in relazione al lavoro scolastico), ai lavori di alcune Commissioni consiliari (Ambiente, Lavori Pubblici, Servizi Sociali, Sport, Cultura, Mobilità).
L’art. 17 del Regolamento del Consiglio Comunale di Benevento recita: «I consiglieri hanno diritto all’indennità di presenza, nella misura prevista dalla legge, per ciascun giorno di partecipazione effettiva ai lavori del Consiglio, delle Commissioni, delle Consulte o della Conferenza dei capigruppo».  
Il gettone  di  presenza  (nei  consigli  comunali  e  nelle  commissioni)  dei  consiglieri comunali è di € 42,90. L’importo massimo che un consigliere comunale può percepire (aldilà del numero delle presenze in consiglio ed in commissione) è di € 1.034,74. 
Sull’argomento ci sono due scuole di pensiero: chi ritiene che la politica dovrebbe essere un servizio prestato gratuitamente alla comunità e chi ritiene, al contrario, che è doveroso remunerare in qualche modo tali attività per rendere possibile a tutti, anche a chi non ha reddito, ad esempio, espletarla decorosamente.
Sono soldi ben spesi dalla comunità? È evidentemente molto presto per rispondere, e la domanda riguarda il senso stesso non tanto dei Consigli quanto delle Commissioni, la loro reale utilità. La mia impressione è che tutto dipende dalla qualità delle conduzione delle stesse e dall’alchimia che si crea fra i componenti, spesso a prescindere dalle appartenenze e dagli schieramenti. Ci sono Commissioni che stanno svolgendo un lavoro di approfondimento su questioni complesse, spesso con discussioni dure ma proficue, e che potrebbe diventare la base di delibere consiliari importanti. Altre commissioni, invece, scontano l’inesperienza di chi le guida e appaiono, francamente, un luogo di discussione poco produttivo. L’auspicio è che tutti si rendano conto che i soldi dei cittadini devono sempre produrre risultati, soprattutto in una fase drammatica come quella che, con la dichiarazione di dissesto, ci avviamo tutti a vivere.
A proposito... Come utilizzare quei soldi? Si accettano suggerimenti dei cittadini, ovviamente. Una parte sarà certamente utilizzata per radicare il Movimento 5 Stelle in città, non come soggetto politico interno al Palazzo ma come terminale dell’attivismo civico, permanente luogo di ascolto di bisogni reali, elemento di una rete “dal basso” di trasformazione di Benevento. Tutto questo costa: tempo, fatica, denaro... 

martedì 15 novembre 2016

Περί Πολέμου



Non “Contra bellum”. Piuttosto “De bello”. O, meglio, in una lingua originaria: Περί Πολέμου.

«Cos’è questa guerra stipata nel cuore della natura? Perché la natura lotta contro se stessa? Perché la terra combatte contro il mare? C’è forza vendicativa nella natura».

Πόλεμος πάντων μν πατήρ στι, πάντων δ βασιλεύς.

Alla pace ineffabile non anelo
in questa vita. Guarisco per crisi,
rivoluzioni e scontri permanenti
campali di cellule e batteri.

Che il conflitto sia.

Forze in tensione,
cavalco una potenza buona e vitale.
Genero con l’arco e la lira.

«La guerra appartiene alla nostra anima in quanto verità archetipica del cosmo».

Un gatto nero come una pantera
è giunto improvviso alla nostra campagna,
venendo da chi sa quali lotte inaudite.
Sottili gli occhi di disprezzo,
come sapesse la sua forza.
Ne ha accecati tre dei nostri,
tra i più grassi, uno uccidendolo.
Per la prima volta
- eppure so che obbedisce a una legge -
ho sognato di finirlo con rabbia
a bastonate, liberando cuccioli
e mamme dall’incubo.


Queste parole sono dedicate alla memoria di Carmelo Bonifacio Malandrino.

[Testo dell'intervento di "Poeticamente contro la guerra", che fonde due mie poesie, una inedita, una edita, attraverso frammenti di Malick, Eraclito e Hillman]. 

una salus





Grazie, come sempre, a chi mi ha voluto qui stasera all’interno di un confronto stimolante su una questione che mi appassiona.
Sono cresciuto all’interno di una famiglia in cui la pratica del volontariato era una scelta di vita. Mia madre e mia sorella erano “vincenziane”, e sin da piccolo ho assimilato una visione del cristianesimo fortemente improntata alle tematiche sociali. In particolare, mi è stata inculcata, attraverso l’esempio, l’immagine del povero e del bisognoso come “imago Christi”. Per questo motivo, lo confesso, ancor oggi, ogni qual volta vedo una persona che, comunque la si veda, sta peggio di me, avverto un oscuro senso di colpa e il bisogno di aiutarla in qualunque maniera. Il “pauperismo” è una vocazione, lo confesso. E i modelli che ad esso si ispirano (penso all’ex Presidente dell’Uruguay, Pepe Mujica mi affascinano). Lo sottolineo semplicemente perché ritengo fondamentale l’esempio che noi adulti dobbiamo dare a ragazzi o bambini abituati al lusso e al benessere. Sapete, oramai, avendomi invitato spesso, che ho l’abitudine di radicare quanto dico sempre nella mia esperienza biografica. Non esistono ortodossie (o, se esistono, non mi interessano). Esistono ortoprassi.
Il libro dei Proverbi dice della persona (in questo caso una donna) giusta:

Apre le sue mani al misero,
stende la mano al povero.

Francesco De Gregori, in una bellissima, recente canzone:

Qualcuno sta aspettando 
all'uscita della chiesa.
Benedici il suo cappello vuoto,
la sua lunga attesa.
È una vita che si affanna 
e cerca e ruba.
Illumina il suo tempo,
insegnagli la strada.

Che c’entra questo con Gregoire, con il tema di questo incontro?
Ho letto la sue note autobiografiche, e mi ha colpito come nella sua vita si ripeta uno schema che si ritrova in altre grandi esperienze biografiche. Potrei definirlo perdizione e rinascita “nello Spirito”. Insomma, nella vita di Gregoire c’è stato l’incontro folgorante con un’energia benefica che normalmente chiamiamo Dio, e che descriviamo attraverso esperienze culturali diverse. Nel suo caso tale forma culturale è il cristianesimo che ha una specificità che la rende se non diversa sicuramente originale rispetto ad altre esperienze spirituali analoghe.
Per spiegarlo, devo fare una breve digressione sul cristianesimo e sul Gesù storico, che è un tema centrale nelle poche ore di studio che mi rimangano al netto dell’insegnamento e, ora, dell’attività politica. Nel cristianesimo storico il povero, il malato, l’escluso sono sempre state figure centrali, immagini di Cristo, almeno fino alla riforma luterana e calvinista, che modificano radicalmente l’atteggiamento nei confronti della povertà. Se andiamo a quel mistero complesso che è il Gesù “storico” tali figure diventano ancora più centrali. Secondo storici come Mauro Pesce l’ebreo Gesù, figlio di Giuseppe, nato a Nazareth, era un predicatore contadino che annunziava l’imminenza del Regno di Dio sulla terra e, non come figlio di Dio (se non in senso metaforico), ma come suo emissario, esercitava poteri come quello della guarigione, che erano manifestazione tangibile della potenza del Dio che stava venendo. Il Gesù taumaturgo, guaritore, esorcista, secondo Mauro Pesce riteneva che «la fa­col­tà che pen­sa­va di pos­se­de­re fosse un qual­co­sa che egli stes­so ri­te­ne­va non ori­gi­na­to da sé», ma proveniente direttamente da Dio.
Insomma, anche se so che sconcerterò i più presenti in sala, io ritengo che se non c’è un canale di comunicazione, articolato culturalmente, con ciò che per convenzione chiameremo “Dio” sia assolutamente difficile portare “salute”, termine che, non a caso, nella lingua latina indica tanto la salute propriamente detta quanto la “salvezza” in senso spirituale. È possibile scindere questi due aspetti? Nelle note autobiografiche di Gregoire mi ha colpito l’ossessivo ripetere che, se Cristo si manifesta nei malati, nei derelitti, allora è necessario agire per loro, secondo quanto insegnato da Gesù stesso nel centro della sua “lieta novella”, secondo Ivan Illich, cioè la parabola del buon Samaritano, che è appunto esaltazione di ortoprassi, non di ortodossie. Bonhoeffer nella sua maestosa Etica scrive che il Cristo è l’essere-per-l’altro.
Esiste un circolo in cui è impossibile discernere il punto iniziale, una “dinamica”: incontrare l’altro significa incontrare l’Altro, quando si incontra l’Altro non è possibile non vederlo nell’altro...
Ma che fare quando si entra in questa dinamica? Quando un accadimento improvviso ci “impone” imperativamente e senza possibilità di replica di agire per l’altro? Io credo che qui si dischiuda la questione più interessante.
Permettetemi un altro inciso autobiografico. Quando mia sorella, adolescente, diceva in famiglia che il suo sogno era andare a fare volontariato in Africa, mia madre, che allora non capivo, che consideravo una piccolo-borghese intimorita da scelte troppo radicale, le diceva: la tua Africa è qui... Ecco, io credo, molto anni dopo, di aver capito che mia madre aveva ragione. È meraviglioso che ci siano persone come Giacomo che investano energie e risorse per iniziative come quelle descritte. Che Dio li benedica! Ma ciascuno di noi, qui ed ora, può entrare in quell’essere-per-l’altro senza bisogno di cambiare habitat. Ovviamente questo ci dice anche qualcosa di drammatico, che preferiamo non vedere: che la malattia, la povertà, l’esclusione sono anche in una piccola e apparentemente tranquilla città del Sud.
A Benevento esiste un disagio spaventoso che necessita di nuovi “guaritori” che annunziano il regno di Dio sulla terra.
Lo so che vi può sembrare una forzatura fuori luogo, ma io ho il bisogno di pensare la mia vita come un tutto coerente. Ebbene, io ritengo che oggi, in una città come Benevento, lo stesso impegno politico debba scaturire da questa radice, come sta ripetendo più volte il vescovo Felice Accrocca. E lo dico, badate bene, da “diversamente credente”, non da cristiano né tanto meno da cattolico. Questa città, insomma, cambierà quanto tante persone, non necessariamente legate tra loro, scopriranno, ascolteranno ἐν τῷ κρυπτῷ, nel "segreto", nel silenzio del cuore, un imperativo categorico e agiranno di conseguenza, ciascuno prima di tutto nella sua missione specifica e, pian piano, ampliando la sfera del della cura dell’altro, in un tempo che conosce solo la cura ossessiva del sé, la deriva egolatrica, l’autismo corale.
Permettetemi, ancora una volta, di chiudere con dei versi mie, che cercano di dire, con parole sghembe ma sincere tutto questo.
La poesia si chiama Emmaus, ed evoca un celebre episodio descritto nel Vangelo di Luca... L’agnizione di Gesù resa, per altro, celeberrima in opere pittoriche come quelle di Caravaggio o Rembrandt.

Sei tu che cammini al mio fianco
nell’arso passaggio di aprile?
Ma come saperlo davvero?
E se fossi soltanto un miraggio
del cuore assediato?
Poi, stanco, seduto alla mensa,
quando le ombre inghiottono i sogni,
rammento parole sgorgate da labbra
di salda dolcezza.
E, dunque,
prendo il pane e lo spezzo,
guardando il compagno di viaggio
inconsapevole, prego,
e riconosco il tuo volto.



 Intervento tenuto il 14 novembre 2016 presso l'Ordine dei Medici.