lunedì 21 marzo 2016

Diario politico 03 (Professione vs. servizio civile)


A giugno si  celebrerà un ideale “triello” che vedrà come antagonisti Raffaele Del Vecchio, Marianna Farese e Clemente Mastella. Ci saranno sicuramente altri tre candidati (Principe, Tibaldi, Ucci), forse altri due (uno dell’area di destra che fa capo a Viespoli, l’altro se l’area del sindaco Pepe ed altri malpancisti del PD dovessero rompere col partito). I primi tre nomi, stando ai sondaggi, sono quelli che possono giocarsi la chanche del ballottaggio.
Guardiamoli da vicino e collochiamoli in un possibile schema di lettura della politica contemporanea.
Clemente Mastella è in politica attiva da giusto quaranta anni. Delfino di Ciriaco De Mita, si ritaglia poi uno spazio autonomo che l’ha portato ad attraversare la seconda repubblica con modi spregiudicati che ottimizzassero un bacino di voti concentrato nel Sannio e fondato sostanzialmente sull’intermediazione delle risorse. L’inchiesta che ha coinvolto l’UDEUR nel 2008 ha drasticamente ridimensionato il suo potere, che aveva trovato ulteriore puntello nella carriera politica della moglie, Sandra Lonardo. Si candida a Benevento perché non ci sono altri luoghi del “potere” attualmente a disposizione, e il 2018 è troppo lontano per un uomo che fa dell’occupazione di luoghi strategici delle decisioni e del controllo delle risorse il fondamento del suo potere. Un politico “professionista” a tutto tondo, insomma. Il “moderatismo” è l’unica parola d’ordine rimasta, dopo la dissoluzione del complesso mondo di ideali che costituivano la Democrazia Cristiana. Le prime parole che ha pronunziato nella sua discesa in campo sono assolutamente generica, per altro scontando Mastella una scarsissima conoscenza approfondita dei problemi della città. Porterà con sé un ceto di professionisti della politica e giovani che ambiscono a divenire tali.
Raffaele Del Vecchio è il figlio del vicesindaco della giunta Pietrantonio, Nino Del Vecchio, socialista poi passato ai Democratici di Sinistra, poi al PD. Il padre ha lasciato al figlio eredità di voti importante (ma è storia diffusa a Benevento, come mostra anche la vicenda di Luigi Scarinzi). Raffaele Del Vecchio è nato nel 1970. La sua carriera politica, col passaggio di testimone ideale da parte del padre, inizia nel 2001. Entra in Consiglio, all’opposizione. Nel 2006 è tra i più votati. Diventa vicesindaco e Assessore alla Cultura. Tale assessorato, che avrebbe dovuto e potuto essere strategico per il rilancio economico della città, è divenuto sempre più, invece, un modo per strutturare piccole rendite di posizione elettorale, con scelte calate dall’alto e poco condivise (non inganni il tentativo degli ultimi anni di creare uno strumento consultivo e partecipativo). Siamo di fronte, dunque, ad un altro politico “professionista”, con enormi ambizioni personali (già voleva sostituire Pepe alla guida del Comune nel 2011) che dovrebbero in prospettiva proiettarlo sul proscenio nazionale, sfuggito al padre, rimasto sempre in un orizzonte locale. L’ideologia di Del Vecchio è uno stinto “riformismo” la cui ambizione è la gestione tecnocratica del presente, senza orizzonti, senza grandi ideali di riferimento.
Contro la politica come “professione a vita” abbiamo Marianna Farese, la candidata del MoVimento 5 Stelle. La sua storia parla di impegno civile, di professionalità che matura in ambiti diversi fino a sboccare nell’insegnamento. Insomma, l’esatto opposto dei due modelli precedenti. Il voto di giugno, a Benevento e in altre città italiane, sarà soprattutto questo: la politica come professione (a vita) contro la politica come “servizio civile” (a tempo). L’obiezione di molti è la seguente: preferisco un bravo professionista ad un dilettante allo sbaraglio. Alla quale rispondo dicendo che andrebbe mostrato che un politico non professionista sia un dilettante allo sbaraglio. La società italiana è piena di straordinarie competenze che aspettano solo di essere testate ed utilizzate. In subordine, direi che se l’Italia è un paese inefficiente ciò lo si deve soprattutto alla pervasività della politica. La “questione morale” denunziata da Berlinguer non è solo la corruzione di molto ceto politico o l’uso privato di risorse pubbliche quanto la pratica per cui il politico decide in ambiti che dovrebbero essere lasciati alla loro autonomia. Ma ciò accade perché il politico professionista ha bisogno di creare “clientele” in vista della sua carriera. È un circolo vizioso che solo un’idea diversa di politica, “a termine”, può far saltare in aria.
Amo parlare, a proposito di giugno, di “rivoluzione gentile”. La aspetto con trepidazione.

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