giovedì 28 settembre 2017

incipit vita nova

Come scritto lo scorso anno l’impegno politico ha modificato radicalmente il mio stile di vita, molto più di quanto prevedessi onestamente. Ad esempio, mentre prima l’anno era bipartito rigidamente in una fase di negotium e una di otium rigenerativo, ora questo non è più possibile. Ciò nonostante l’estate, libera dal contatto con i ragazzi e dagli impegni scolastici, è il momento in cui è più facile, per citare Marco Guzzi, scendere nei propri “inferi”, trovando sassolini per nuove strade da seguire. Questa estate, ad esempio, ho deciso che nei prossimi anni avrei colmato le mie clamorose lacune sulla storia beneventana e sulla questione meridionale. La seconda acquisizione preziosa è che sta accadendo in me una profonda trasformazione nel modo di pormi nei confronti della vita. Fino ad oggi, infatti, ho avvertito sempre un senso di responsabilità nei confronti di tutto quello che accadeva, fosse anche nei luoghi più lontani della terra, accompagnato, quasi sempre, da un velato senso di colpa. Catastrofi familiari o planetarie erano in qualche modo riconducibili a me, alla mia pigrizia o superficialità, al mio scarso impegno. Era difficile essere “felice”. L’altra struttura operante nel profondo, sin dall’adolescenza (o dall’infanzia, se penso alla mia passione per cavalieri e super-eroi) era quella verso l’assoluto, i nuovi inizi, le rivoluzioni... Insomma, la mia vita avrebbe sempre dovuto essere “poetica” (uso il termine in senso estensivo). Oggi, nel silenzio della poesia, mi chiedo che tipo di scrittura possa essere adeguata a questa nuova stagione in cui non so se saggezza o disillusione mi spingono a vivere con serenità ogni momento della giornata senza più quella che in verso giovanile definivo «un’ansia che insegue se stessa» in attesa di eventi straordinari che dessero senso, una volta per sempre, “compimento” alla vita intera. Quella di oggi è una felicità domestica, che addirittura è capace di tollerare i difetti della compagna di una vita, fino a pochi mesi fa talvolta insopportabili, spesso sorridendone, di vivere gli acciacchi dell’età senza più sognare palingenesi “guerriere”, ma senza mai dismettere l’impegno civile (sorretto dalla quotidianità degli impegni politici). Mi sono chiesto se possa essere un venir meno del “desiderio” a spiegare questa quiete che avverto nelle membra. Poi però mi rendo conto che il desiderio non è svanito, si è solo disciplinato anch’esso, quasi ad obbedire ad una forza superiore. Il desiderio è sempre stato il motore del mio agire. Quando si estinguerà non sarò quieto: sarò morto. Saprò, dunque, descrivere in una poesia dimessa o in una prosa intrisa di odori casalinghi questo tempo senza accensioni, senza verticalizzazioni improvvise, senza fughe? Ci sarà una parola adeguata alla assoluta semplicità del qui ed ora? Non lo so... e sono curioso di scoprirlo.

Insomma, mi pare che i cinquanta anni aprano una stagione nuova della mia vita. Prego quel Dio che oramai ha contorni nebulosi, e che pure avverto come "senso" nel profondo del reale, di illuminare questo nuovo percorso ritmandolo.

P.S.
Non mi sfugge che, nel cercare il titolo del post, ricorro alle mie consuete strutture psichiche "verticali": il nuovo inizio, la vita nuova...

mercoledì 13 settembre 2017

La rivoluzione gentile 13 (9 anni dopo...)


Iniziai il mio blog nel 2008 sull’onda dello scoramento per quella che vissi come una catastrofe elettorale con la scomparsa della sinistra dal Parlamento italiano.
Il secondo post era l’articolo scritto (e mai pubblicato) per il «Corriere del Mezzogiorno» che ampliava alcune dichiarazioni, chiestemi da Giancristiano Desiderio, sull’inchiesta Udeur-Mastella del gennaio di quell’anno.
Ieri quell’inchiesta si è chiusa con un’assoluzione “integrale” per tutti gli imputati: smontato tutto il castello accusatorio. Mi pare doveroso tornare, nove anni dopo, su quanto scrivevo.
Premetto che stamattina ho mandato un messaggio a quello che è divenuto intanto il Sindaco della mia città in cui scrivevo che una giustizia del genere non è giusta. Dunque, umanamente, al Sindaco e a Sandra Lonardo va la mia incondizionata solidarietà per quanto subito senza se e senza ma.
Non sarebbe ora, dunque, meglio far calare un pudico silenzio? Perché sento urgere la necessità di elaborare l’accaduto? Perché, come scrivevo allora la mia famiglia è stata parte di quel potere cittadino che, per tanti anni (diciamo per tutti gli anni Ottanta per semplificare) ha deciso le sorti della città e che, appunto, faceva capo a Clemente Mastella, esponente di punta della cosiddetta “sinistra di base”, che aveva scalzato il potere vetroniano in città.
In quella riflessione scrivevo che il giudizio doveva prescindere dall’esito giudiziario della vicenda. Eppure, nove anni dopo, non è possibile non solidarizzare – umanamente – con chi ha visto stravolta la propria vita e ha dovuto attendere un’eternità per scoprire di essere innocente. Questo non è degno di un paese civile. All’epoca avevo superato l’illusione giovanile (sbagliata), risalente a Tangentopoli, che potesse esistere una via giudiziaria alla “rivoluzione italiana”.
Le cose che scrivevo allora le rivendico integralmente. Le intercettazioni ci diedero e ci danno l’immagine di un paese in cui la politica pretende di occupare tutti gli spazi, a prescindere dal colore politico. Ed evocavo non a caso l’esempio di Loretta Mussi, che davvero appare una personalità donchisciottesca stritolata da un potere infinitamente più grande di lei. Mi piacerebbe che un giorno tornasse qui in città a raccontare quella storia...
Evocavo la categoria del “familismo” in un senso molto ampio. Ebbene, come evidente anche da un evento dalla forte carica simbolica come la “cena in bianco”, Mastella vive la sfera politica come ampliamento della sfera familiare (e se stesso come un “buon padre di famiglia”).


La mia riflessione si chiudeva con la profezia di una lunga latitanza della sinistra, la necessità di una ricostruzione dal basso di un agire politico totalmente privato di senso da un potere speculare a quello incarnato dal mastellismo.
Sono passati nove anni: io ho abbandonato l’illusione che la sinistra, come l’avevo sempre immaginata, potesse rifondarsi e ho fatto scelte molto radicali.
Per quanto mi riguarda non posso che ribadire il mio giudizio sul mastellismo, rispetto al quale, a contrario, ho strutturato, a partire dalle elezioni comunali del 1993, la mia partecipazione alla politica. Si tratta dell’ennesima variante delle classi dirigenti meridionali che si sono poste come mediatrici di risorse prima nazionali, ora comunitarie senza mai riuscire a modificare sostanzialmente il tessuto economico e sociale in cui operavano. Nel 1993 in maniera decisa ruppi con la mia storia politica familiare. Non mi sono mai pentito. Ho attraversato i miei deserti. Non devo ringraziare nessuno per quel che sono diventato, accettando i lavori più umili. Continuo, ostinatamente, come nel 2008, come nel 1993, a reclamare una politica fondata sulla morale, una politica vissuta “a tempo” come dovere civico da prestare alla propria città, al proprio Paese, per poi tornare alle occupazioni abituali.
Nel porgere, dunque, la mia solidarietà umana a Clemente e Sandra Mastella, rivendico con fierezza la mia idea e la mia pratica della politica, agli antipodi di quella teorizzata e praticata dal mio Sindaco. La "questione morale", correttamente intesa, rimane una delle spinte fondamentali del mio agire. Essa va continuamente rilanciata, senza temere di essere inattuali.

Un caro amico, commentando l’accaduto e condividendo la mia definizione del mastellismo come «autobiografia della città», mi ha scritto che ci vorrebbe un grande narratore per raccontare nel suo insieme la cultura beneventana, un lavoro storico serio, di ampio respiro, che tenga insieme antropologia, psicologia, sociologia ed economia. Non è detto che, nella prossima vita, pur non essendo un grande narratore, non provi a dedicarmici.

domenica 10 settembre 2017

un anno in Consiglio: post "morale"


A giugno, con Marianna Farese, abbiamo tentato un bilancio di quanto fatto in Consiglio comunale nel nostro primo anno da portavoce del M5S. Ma io sono e sarò sempre prima di tutto un “moralista”, appassionato al cuore degli uomini, e incapace di vivere qualsivoglia aspetto della vita senza appassionarmene. Per questo vorrei provare, in poche righe, a tracciare un bilancio d’altro tipo di quel che ho vissuto.
Prima di tutto vorrei sottolineare come la percezione delle cose cambi radicalmente quando si è “dall’altra parte”, dentro le istituzioni. Per quanto mi riguarda ho imparato che organismo complesso sia una città, anche medio-piccola come Benevento, e quante siano le variabili che rendano complicatissimo pianificare e progettare.
Ho imparato anche che le persone sono molto diverse dalla immagine stereotipata che ne danno i media. Non a caso il consigliere più competente si è rivelato essere quel Fausto Pepe che per me è stato (e il giudizio non muta) un pessimo Sindaco, soprattutto nel suo secondo mandato.
Tutto questo significa anche fare i conti con i propri limiti, riconoscersi come “inesperti” bisognosi di un tirocinio: nella politica l’esperienza è molto più importante della teoria.
Ancora. Giuseppe “Bobby” Falvella, architetto, urbanista napoletano, mi ha detto una volta: imparerai più da questa esperienza che da tutte le altre che hai vissuto. Sugli uomini, in particolare. In politica vedi gli uomini, che pure si comportano come fossero sul palco di un teatro, nella loro essenza, nella loro “verità”. Ne vedi il valore, come direbbe la mia amata Arendt, in azioni e grandi (o piccole) parole.
E Mastella? Conosce i suoi limiti come amministratore e sa di non avere un personale politico all’altezza della sfida, avendo vinto, come ama ripetere, sfruttando debolezze altrui più che per meriti propri e ritrovandosi uomini e donne in buona parte da formare. E, dunque, con scaltrezza, combatte su un piano in cui è più abile di tutti gli avversari: quello mediatico. Di qui la centralità della politica “culturale” e la rivendicazione ossessiva delle sue amicizie prestigiose.
Il futuro cosa ci riserva? Il 12 dovrebbe esserci la sentenza del processo... Un incognita. E noi? Saremo “virtuosi”? Quanto dovrà durare il nostro apprendistato per renderci degni, agli occhi dei cittadini, di amministrare questa città con oculatezza ma anche lungimiranza? Io mi sto preparando. Per la prima volta – questa la grande illuminazione estiva – le mie letture sono state quasi esclusivamente “cittadine”. Il libro di Raimondo Consolante, bellissimo, ha colmato lacune clamorose.
Digressione. Quando fui portato da Antonio Romano al «Quaderno», esperienza che non finirò mai di ringraziare per quanto mi ha dato, c’erano lunghe discussioni sul taglio dei pezzi da scrivere. Il Direttore, Carlo Panella, voleva pezzi calati nella realtà locale, io, fresco di laurea, ambivo ad orizzonti più ampi. Per questo ho sempre rifuggito la “storia locale”, terrorizzato dal poterne essere risucchiato. Vedevo in Gianni Vergineo l’esempio di un grande intellettuale che aveva “sprecato” il suo talento dedicandosi ad una piccola storia. Ebbene, senza rinunziare a nulla, ritengo venuto il momento di saldare il mio debito con la città che mi ha nutrito. Lo posso fare solo conoscendone la storia (quanto sono ignoranti alcuni degli attuali amministratori in merito?) e impegnandomi integralmente nei prossimi quattro anni. Ho bruciato in altre vite tutte le mie ambizioni (ma... sono mai stato ambizioso? E questa è una virtù o un difetto che impedisce di raggiungere grandi risultati?). Vivo la politica come servizio ma anche come costante arricchimento in termini di complessità di ciò che sono. Mi si potrebbe rinfacciare quasi di star conducendo un esperimento su me stesso quasi indifferente ai risultati. Ma non è così. Ho la certezza che rimanendo ancorati a principi ispiratori e sordi al canto delle sirene che invita ad utilizzare egoisticamente una delega avuta dai cittadini si possa davvero incidere sulla realtà. Credo che questa sia la novità dirompente del M5S in una piccola città avvezza ad ogni sorta di trasformismo per fini privati come Benevento. 
Quel che è certo è che, comunque vada, alla fine del percorso sarò un uomo diverso.