martedì 23 gennaio 2018

il mondo caotico e il sublime

Sto lavorando (è terapia negli anni dell'impegno politico, un po' come la partita a pallone della domenica) al nuovo libriccino di versi. Il titolo provvisorio è Nel chiaro mondo.
Ritrovo per caso una recensione di Rita Pacilio a Per aspera. Sincronicità.

«La parola si respira, respira e  a noi si impone come viva e urgente: in quanto necessaria è oltremodo esigente. Da un lato ci chiede ascolto e partecipazione, dall’altro scava dentro l’atto mistico e simbolico della complicata realtà. La raccolta poetica dal titolo Per aspera (Poesie 1990/2010) di Nicola Sguera per i tipi editoriali Delta3 (2013), venuta alle stampe nella collana "Pugillaria" diretta da Paolo Saggese, conferisce, all'acuto lettore, il contrasto vissuto tra la consapevolezza e il dolore nostalgico dell’essere umano che eleva lo spirito a un grado catartico, verticale e illuminante. Nelle cinque sezioni si succedono, in una metrica moderna e arguta, metafore laiche e cerebrali a versi altamente spirituali che rimandano ai testi di Luzi, Turoldo, Bonnefoy e Rebora. Il potere trascendente e le sostanze concrete delle realtà passano attraverso tematiche che riguardano l’amore, il ricordo, l’immaginazione e la morte. Il caotico mondo, correlato di oggettività, non si ripiega su se stesso, ma, attraverso la mente del poeta, si riconduce all’epica della felicità, condizione auspicabile quando si celebra l’anima e l’energia vitale. La morte e la vita sono certezze a cui soccombe il mondo convertito al pensiero nobile e poetico e solamente la pulsione del riscatto, della pace donata dal Dio della speranza e della resurrezione può giustificare il sacrificio del buio, della paura, del dubbio». 


domenica 21 gennaio 2018

valori non negoziabili

I fatti. Tre giorni fa una persona ci fa pervenire foto di un volantino in cui si annunzia gita a Predappio in partenza ad aprile da San Leucio (del Sannio) con la presenza del parroco di San Giovani di Ceppaloni (per altro frequentata anche dal Sindaco di Benevento, Clemente Mastella), Padre Robert, e visita alla tomba del Duce. 
Nel volantino ci sono una serie di (molto interpretabili) suggerimenti ai partecipanti (per esempio osservare il silenzio dove c’è la videosorveglianza...).
Io e Marianna (Farese) ne parliamo e riteniamo la cosa degna di essere segnalata all’opinione pubblica.
Scoppia il pandemonio nel mondo reale e nel mondo virtuale. Padre Robert viene raggiunto da giornalisti: dichiara tante cose (molte discutibili), alla fine getta la spugna. Non andrà a Predappio. In rete il variegato mondo fascista e neo-fascista ci riempie di contumelie.
In particolare una storica militante della destra beneventana, Ida Santanelli, articola una surreale argomentazione: poiché i consiglieri pentastellati non hanno votato contro la dichiarazione di dissesto (a suo dire sicuramente evitabile) non hanno diritto a parlare, men che mai di una vicenda di così poco conto. Quanto accaduto per altro ha funzionato da cartina di tornasole per far emergere quanta “nostalgia” (e aggiungo per molti: quanta ignoranza storica) ci sia anche in altre formazioni politiche.
L’altra accusa, pure surreale e segno di una ingiustificabile ignoranza, non tollerabile in chi vuole essere classe dirigente, è che la segnalazione farebbe riemergere il mai sopito “comunismo” del sottoscritto.
Questo post, dunque, vuole chiarire tre cose fondamentali. 1) Se il sacerdote ha deciso di tirarsi indietro rispetto ad un impegno reso pubblico ci sarà un motivo. Questa scelta (al di là di quanto accadrà eventualmente nelle prossime settimane) è la clamorosa e inconfutabile prova che abbiamo fatto bene a rendere pubblico quanto segnalatoci.
2) I consigli e le morali su cosa possiamo e dobbiamo fare le rispediamo ai mittenti (che per altro non hanno brillato, ad essere teneri, neanche nella sfida elettorale). Non ci servono patenti per svolgere il nostro incarico. Soprattutto da chi critica Mastella e poi ci si allea ora per governare il Paese.
2) L’antifascismo è l’esperienza su cui è nato questo Paese. Ha avuto tante anime. E per saperlo basta leggere un manuale di storia, non sterminate bibliografie. Pensare che sia stato solo comunista denota o malafede o ignoranza. Ed è difficile capire cosa sia peggio. Le mie scelte sono irrevocabili. Lo è l’attivismo nel Movimento 5 Stelle. Lo è, da lunghissimo tempo, l’antifascismo, che per me non è negoziabile. Il che non mi impedisce di lavorare gomito a gomito con persone che hanno percorsi politici diversi dal mio e apprezzarne l’integrità morale.
Cosa è stato per me il fascismo? Parte del “male assoluto” sicuramente. Insieme ad altre esperienze storiche, di destra e di sinistra ovviamente, che sarebbe lungo elencare. Da docente di storia questo non mi esime, quando nell’ultimo anno affrontiamo l’argomento, dal raccontare a tutto tondo questo fenomeno complesso (che per altro non fu «malattia», come erroneamente ritenne Croce, ma compimento di storia lunga dell’Italia ottocentesca). Ad esempio, faccio pensare ai ragazzi alla bellezza dell’architettura fascista a Benevento. Il fascismo, però, è stato innanzitutto un’ideologia fondata sulla forza, sul militarismo, su un nazionalismo aggressivo e imperialista, si è alleato con la feroce Germania nazista, ha approvato le leggi razziali, ha eliminato o segregato i propri oppositori politici, ha condotto l’Italia in una guerra rovinosa. La complessità va rispettata ma il giudizio va dato. E le scelte vanno fatte. Con un comandante della maquis francese, il cui volto campeggia sul mio profilo Facebook da molti mesi, ripeto spesso che «la nostra eredità non è preceduta da alcun testamento». Io sono erede - per scelta consapevole e non per "tradizione" - dell’antifascismo della Costituzione promulgata nel 1948, unico collante di ideologie diversissime (social-comunista, cattolica, liberale, azionista per citare le maggiori).
Aggiungo una chiosa. Pur essendo un “diversamente credente” seguo con trepidazione quanto Francesco sta facendo nella Chiesa cattolica, dopo un papato regressivo come quello ratzingeriano. A Benevento è arrivato da un paio d’anni un Vescovo che mi pare in linea con questa volontà di purificazione che vedo nel mandato di Bergoglio. Mons. Felice Accrocca è fine studioso del santo di Assisi ma sa parlare a tutti. Sta trasformando un organismo sclerotizzato da vescovati sostanzialmente conservatori. Interviene su grandi tematiche spronando la politica a fare il suo dovere. Altrove ho scritto che Benevento rinascerà solo quando il suo cattolicesimo diverrà pienamente “adulto” (perché le radici sono importanti ma vanno curate...). Personalmente mi piacerebbe che quanto abbiamo fatto, attirando offese di ogni tipo e attacchi scomposti (di cui io sono onoratissimo), sia un contributo anche a questo doveroso processo di crescita spirituale. 


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Qualche link:
Il Primato nazionale (!)

Per chiudere una "poèsia"...

mercoledì 17 gennaio 2018

parole

Cara Gaia,
trovo divertente che voi appuntiate sul vostro quadernetto di memorabilia liceali alcune parole che mi capita di pronunziare, per voi buffe, inusitate. Sarà un piacere riascoltarle nel pranzo di fine ciclo che rimane uno dei momenti più suggestivi, a mio avviso, della vita scolastica, quando quasi tutto è compiuto (se non l’Esame di Stato) e ci si vede, reciprocamente, già con occhi diversi. È un giorno lieto e triste nello stesso tempo per me dove si scoprono tanti piccoli segreti (spesso di Pulcinella, a dirla tutta), e si scherza insieme su situazione illo tempore vissute con pathos o severità.
Mi chiedevi qual è il segreto per imparare parole difficili. Ti ho detto, prima di tutto, che alla tua età, facevo tanti errori di ortografia. E che ho smesso di farli... leggendo. La chiave di volta della mia vita è stata l’immersione, in certi momenti «matta e disperatissima», nelle pagine di libri trovati a casa o comprati. Ed è quello che, ogni giorno, spesso a costo di essere pedante, ripeto a mia figlia Caterina, riempiendo la casa di libri adatti alla sua età (in ultimo una bella collana di “Classicini”). 
«Tolle, lege» potrei ripetere, sapendolo unico segreto per nutrire la mente e donare alla tua lingua quella complessità di lessico che può corrispondere ad una complessità di pensiero. Spero capiate che in me non c’è mai ostentazione: odio l’erudizione fine a se stessa o l’eleganza della forma priva di nerbo. Istintivamente cerco di incuriosirvi, di spingervi ad entrare in quel maestoso, antichissimo palazzo che è la nostra meravigliosa lingua, avendo per altro voi la fortuna di studiare il latino e il greco, che ne sono scaturigine e fondamento.
Però, ed è questo il motivo per cui ti scrivo una breve lettera in pubblico, a te che sei così curiosa intellettualmente, ho dimenticato di dirti, mentre spiegavamo l’opera titanica di Nietzsche, che il viatico probabilmente principale a questo amor linguae è stata la poesia. Vedi, cara Gaia, la parola poetica, spesso isolata o all’interno di un “versicolo” (e non penso solo ad Ungaretti), soprattutto nella poesia novecentesca, ti costringe a scavare nella parola. In questo momento mi sovviene l’esperienza di un auctor per me sommo come Paul Celan, che proprio alla parola ha dedicato alcune delle sue poesie più memorabili. 
La parola poetica, che ha il respiro della pagina bianca, che riecheggia in noi, che reclama attenzione, dedizione, che non rimanda ad una “storia”, ma accade, è essa stessa e-vento (e che significa, ti chiederei se stessimo in classe, etimologicamente evento?), ebbene quella parola mi ha educato alla lingua. E io abito la lingua italiana, sapendo che sono solo il tramite attraverso cui essa esiste e resiste, esistendo prima di me e continuando, mi auguro per secoli, pur mutando come organismo vivente, a rendere possibili opere mirabili dell’ingegno. Io abito la lingua di Dante e di Tasso, di Foscolo e Leopardi, di Montale e Caproni. In ogni parola assaporo una storia millenaria, che rimanda alla Grecia e a Roma.
Se sarò riuscito a trasmettervi un po’ di questo rispetto filiale per la lingua che abitiamo il nostro incontro non sarà stato inutile. A prescindere dalla storia e dalla filosofia...

A domani!

P.S.

Commiato

Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento

Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso.

Giuseppe Ungaretti

mercoledì 10 gennaio 2018

La rivoluzione gentile 18 (Critiche e crisi)


Negli ultimi tempi, come scritto altrove, sono stato oggetto di attacchi di tale ingiustificata violenza verbale, da avermi spinto a bannarne gli autori. Facebook rischia di diventare una camera piena di miasmi. Nello stesso tempo è un luogo conflittuale che consente di porsi questioni importanti.
L’8 gennaio ho postato uno screenshot di Berlusconi, in cui individua il M5S come “nemico mortale” (quello che era il “comunismo” nella mistica salvifica del 1994) da fermare.

Ne sono scaturiti una serie di commenti.
A due devo risposte un po’ più analitiche e con qualche riferimento.
La prima a Paolo Cavallo
Paolo è un giovane studente universitario che ha frequentato il Liceo Giannone, pur non essendo mio alunno. Abbiamo giocato a pallone insieme. Abbiamo fatto foto divertenti insieme nei momenti ludici della vita scolastica. Ci siamo scontrati in occasione di un’occupazione che io ritenevo assolutamente sbagliata. Ritengo legittima la critica, ma i modi con cui Paolo la attua ancor m’offendono. 
Sostanzialmente mi imputa due cose: 
1) il trasformismo; 
2) l’appartenenza ad un movimento che in termini religiosi si potrebbe definire chiliastico o apocalittico, oltre che fortemente carismatico. 
Alla prima accusa ribadisco quanto scritto più volte: la mia storia politica è pubblica e la ripeto per l’ennesima volta. La mia era una famiglia democristiana, vicina ai Mastella (mia madre era cara amica di lady Sandra) e ai De Mita. Io, sostanzialmente disinteressato alla politica per tutti gli anni del Liceo, iniziai a scoprirla in una Sapienza egemonizzata da grandi figure dell’intelligencija rossa italiana di quegli anni: penso al mio docente di italiano, Alberto Asor Rosa. Divenne prassi quotidiana comprare «Il Manifesto», gli ultimi numeri di «Rinascita», «Avvenimenti» (che peraltro custodisco). Era la seconda metà degli anni Ottanta. Feci la tessera del PDS quando nacque, mai rinnovata. Di lì in poi sarei rimasto sempre nell’alveo, come elettore, della cosiddetta “sinistra radicale”, sostanzialmente Rifondazione Comunista, pur non disdegnando in alcune circostanze di votare per i Verdi e, credo una volta, per l’Italia dei Valori. Nella seconda metà degli anni Novanta (il tramite se ben ricordo fu Pierino Mancini), entrai in Rifondazione Comunista (nella fase di transizione dall’era Timoteo all’era Aceto per intenderci). Fui candidato di servizio alle Provinciali del 1999. Uscii da RC quando il partito accettò nella maggioranza regionale l’UDEUR di Mastella (2000). Nel 2001 mi fu chiesto da Gabriele Corona e da Rifondazione Comunista di guidare una lista civica (ne ho ricostruito altrove la storia), che io chiamai “Città Aperta”, definibile come rosso-verde. Malgrado il discreto risultato personale, dopo di allora non ho avuto più impegni politici diretti, rimanendo un attento osservatore delle vicende locali e nazionali, in particolare della dissoluzione della sinistra italiana, dovuta a Fausto Bertinotti e alle sue ambizioni personali, quando si sarebbe potuto realizzare un incontro reale e trasformativo con il fecondo mondo dei movimenti, vivacissimo all’inizio del millennio. A livello locale, dopo il ritiro a vita privata dovuto alla nascita di mia figlia (2006), tornai ad occuparmi della cosa pubblica sostenendo il tentativo di Antonio Medici e Gabriele Corona di “Ora”, in cui conobbi da vicino la realtà pentastellata di Benevento, nata nel 2007. Nel 2012 aderii ad AlbA, esperimento per me molto fecondo di riflessione e azione sulle tematiche che più mi appassionano: l’ambiente, il lavoro, i beni comuni. Nel 2013, con molta sofferenza, appoggiai (con il mio voto e il mio impegno in rete) l’esperimento nato male e finito peggio di “Rivoluzione civile”, ultimo tributo alla mia storia “a sinistra”. Nei mesi successivi avrei tematizzato come sempre in pubblico una scelta di consapevole rottura. Non voglio ripetere quanto scrissi e a cui rinvio. Spero di aver chiarito in maniera esaustiva a Paolo che un percorso travagliato, pieno di errare ed errori è una cosa, il trasformismo per motivi di interesse altra. Io non ho mai avuto alcun incarico di nessun tipo né in un partito né in una Fondazione né in un Ente pubblico. Ho rotto con la matrice politica della mia famiglia proprio per disgusto nei confronti di quel mondo, che fa della politica controllo della società e privilegio per alcuni. Ringraziando Dio ho una vita «umile ma onesta», per citare il sommo Troisi. Non ho bisogno della politica e dei politici.
La seconda critica al M5S posso raccoglierla e discuterla. Amo dire che si tratta di un Movimento, fluido per natura, nato quasi per provocazione (non si dimentichi che Grillo voleva candidarsi alle primarie del PD e gli fu impedito), naturalmente evolutivo nelle forme organizzative. Sicuramente c’è stata e c’è una componente carismatica (che è stata il collante del primo decennio), ora si è entrati in una fase nuova (riconosciuta da autorevoli commentatori non pregiudizialmente a favore come Ignazi e Pasquino). Io, anche come osservatore, ritengo che ci siano aspetti assolutamente originali in questo organismo cangiante, alcuni filiati dalle “visioni” di Casaleggio”. Cosa mi appassioni l’ho scritto e non ci ritorno.
L’altro intervento critico è questo:
Legittimo, fondato. Premesso che entrare nel M5S significa aver superato (e personalmente a livello teorico ci rifletto da almeno 10 anni) la dicotomia destra-sinistra (o quanto meno averla resa molto più complessa a livello topologico...), la critica mi interpella perché mi consente, finalmente, di chiarire, in primis a me stesso, un punto delicato. Mi si imputa sostanzialmente di aver buttato a mare ogni critica al capitalismo ed aver abbracciato un’ideologia “del capitale”. Senza entrare troppo nel merito dei termini, io mi sento di rispondere 3 cose:
1) mi pare che, al netto di piccole frange ininfluenti, non ci siano soggetti politici che oramai mettano in discussione il capitalismo “in sé”;
2) il M5S è il soggetto politico che più rigorosamente (v.il lavoro coordinato da De Masi) si pone i problemi del lavoro nella quarta rivoluzione industriale e del reddito di cittadinanza come misura di civiltà, cioè il problema di una grande redistribuzione del reddito che mi pare l’unica misura possibile di giustizia sociale fattibile (per quanto ardua) nel nostro tempo;
3) il M5S, accusato di essere un movimento “fascista” e “nazionalista”, nella critica al fiscal compact, all’Europa carolingia (franco-tedesca), alla globalizzazione selvaggia, mi pare unico movimento capace di arginare le pericolose derive di una civiltà che ha deciso scientemente (cfr. illuminante articolo di Gilioli) di subordinare la politica ad un’economia priva di qualunque controllo. Su questo è avvenuta la trasformazione anche teorica decisiva per quanto mi riguarda: mentre ho ritenuto per anni che la globalizzazione potesse diventare dialetticamente un momento evolutivo della storia umana, mi sono convinto che i disastri che essa comporta non potranno mai essere eguagliati da eventuali benefici e che il “limite”, come mi ha insegnato un aureo libriccino di Latouche (ivi compresi i confini di uno Stato nazionale) possono essere l’unico argine all’«orrore economico».